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È la paura a determinare la valutazione degli asset?

È stato recentemente pubblicato un paper dal titolo Fear, Not Risk, Explains Asset Pricing. Gli autori sono Rob Arnott ed Edward F. McQuarrie, rispettivamente ricercatore e professore della Santa Clara University.

La teoria propone un paradigma complementare a quello basato sul rischio. Il nuovo paradigma mette l’investitore e la sua paura al centro, anziché gli asset ed il loro rischio.
In questo modo, la maggior parte delle anomalie e degli excess return degli ultimi 100 anni sarebbero meglio spiegabili o prevedibili.
Vi riporto un libero riassunto del paper. In fondo all’articolo trovate il link diretto.

Dagli asset all’uomo

Siamo abituati ad avere il focus sugli asset ed il loro rischio. La finanza ha sempre cercato di leggere e prevedere il mercato attraverso parametri quantificabili, come la deviazione standard e la probabilità che si verifichino certi eventi.

Queste valutazioni sono razionali e danno vita ad un solido paradigma. Il problema è che in alcuni casi non sono sufficienti per spiegare la logica dietro il movimento dei prezzi.
Perché? Perché il rischio non è l’unico elemento da considerare.
Occorre mettere al centro l’uomo e la sua paura, un’emozione universale che gioca un ruolo fondamentale nelle nostre decisioni. La paura porta l’uomo ad azioni irrazionali, potenti e pervasive.

Come si manifesta la paura?

Principalmente si manifesta in due forme:

  • Paura di perdere denaro: la forma più tradizionale, quella a cui tutti andiamo incontro affrontando il primo crollo di mercato nel nostro percorso.
    La reazione tipica è la fuga da asset rischiosi verso altri meno rischiosi. Oppure verso asset che si pensa abbiano la capacità di proteggere il capitale.
  • Paura di perdere opportunità: la FoMO (Fear of Missing Out) nell’ambito degli investimenti è la paura di lasciarsi sfuggire un’opportunità. La paura collettiva di non far parte di un trend vincente. E di trovarsi magari tra 10 anni a dire Ma come ho fatto a non investire in quel settore, era ovvio che fosse il trend su cui puntare!
    La paura di perdere il treno dei prezzi in crescita ci può facilmente portare a decisioni che si riveleranno errate.
    Un esempio classico è la bolla delle dot-com, durante la quale molte persone si versarono nel mercato azionario tecnologico senza alcuna analisi o riflessione. Alla base c’era la paura di restare indietro rispetto agli altri.
    Un altro esempio, più recente, è la corsa ad accaparrarsi le più disparate criptovalute.

La natura sociale della paura

La FoMO ci può spingere ad acquistare asset sopravvalutati, anche nel caso di rendimenti attesi bassi o nulli. È difficile quantificarla, ma è un elemento fondamentale in questo nuovo paradigma.
Un modo in cui si manifesta è attraverso la paura di fare peggio degli altri. Infatti l’invidia può avere la meglio persino sul timore di perdere quello che già abbiamo.

Il concetto di invidia ci porta a mettere in luce la natura sociale di questa emozione, ed il conseguente rischio contagio. La ricetta tradizionale di una bolla speculativa prevede un momentum iniziale di alcuni asset, un gruppo di persone che ha investito in esso e vanta alti rendimenti, ed infine nuovi gruppi di persone che iniziano ad emulare i primi. Da qui si scatena un’epidemia di decisioni che si riveleranno irrazionali.

La paura ci fa perdere il lume della ragione. La fuga dagli asset rischiosi in vista ad un crollo o durante ad esso non è una mossa razionale, eppure è una risposta emotiva ampiamente diffusa. In questo contesto non è da sottovalutare il fatto che i media e le loro narrazioni alimentino ed esasperino il ciclo continuo della paura, spingendoci a prendere decisioni mal ponderate.

Non si salvano nemmeno gli asset a basso rischio, come obbligazioni e cash. In periodi di alta inflazione, la paura di perdere potere d’acquisto ci può spingere a togliere denaro da asset sicuri ed a metterlo su altri asset come oro ed immobili, considerati beni rifugio. Ci troviamo quindi a spostare capitale da asset poco rischiosi verso altri più rischiosi.

Conclusioni

L’integrazione della paura nei modelli finanziari già esistenti potrebbe dare risposte ad alcuni problemi irrisolti dalla teoria del rischio. Durante le crisi finanziarie, i mercati non reagiscono solo al rischio oggettivo, ma anche ad un cambiamento nella psicologia collettiva che amplifica il pessimismo o l’euforia.

La paura deve essere considerata nei modelli di pricing degli asset. Basandosi su un parametro difficilmente quantificabile, la teoria della paura non mira a screditare né a sostituire la teoria del rischio, quanto piuttosto ad integrarla.
Integrare questo fattore potrebbe portare a previsioni più accurate ed a comprendere meglio i cicli di espansione e recessione, che spesso sono alimentati dalla psicologia di massa.

Concludendo, la teoria della paura ci restituirebbe una finanza più realistica e centrata sull’uomo, poiché tiene conto della psicologia degli investitori e delle loro risposte emotive ad eventi globali.

Arnott, Robert D. and McQuarrie, Edward F., Fear, Not Risk, Explains Asset Pricing (February 06, 2025). Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=5127501 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.5127501


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